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Con arido amore, Piero Gobetti
Con arido amore, Piero Gobetti

Una Produzione FRANZ BIBERKOFF
progetto.biberkoff@gmail.com

drammaturgia di Emanuela Cocco
dagli scritti di Piero Gobetti

In collaborazione con il CENTRO STUDI PIERO GOBETTI www.centrogobetti.it
con Claudio Di Loreto
Regia di Francesca Guercio
Collaborazione alla Regia: Emanuela Cocco
Voice Over: Francesca Guercio
Contributi Musicali: Fabio Iannuzzi, Furia Elettrica

Atto unico. Durata 1’ e15’’

Se tutto è uguale, se il tono quotidiano è la tragedia, bisogna pure che ci sia chi si sacrifica, chi
insegue il suo ideale trascendente o immanente, cattolico o eretico con arido amore
(Piero Gobetti)



Roma, Gennaio 2011.
Nicola Bologna, 39 anni, insegnante precario di Storia e Letteratura in un istituto alberghiero, segue con preoccupazione le vicende del referendum sul’accordo Fiat – Mirafiori. Alla vittoria del sì, deluso e indignato, decide di scrivere una lezione per i suoi studenti sull’intellettuale antifascista che più di ottant’anni prima aveva creduto di scorgere proprio nella classe operaia la forza capace di una vera rivoluzione liberale: Piero Gobetti. Dopo essere stato colpito alla testa durante la manifestazione dello sciopero generale dei lavoratori, Nicola perde la memoria e si convince di essere Piero Gobetti, tornato in vita per pura indignazione. Stordito e dolorante, si rifugia in un ipermercato. Le voci del passato e quelle del presente si confondono. Quella di Benito Mussolini, che detta il telegramma in cui ordina la persecuzione di Piero Gobetti, quella degli operai dello stabilimento Fiat – Mirafiori, intervistati all’uscita della fabbrica, subito dopo aver votato il referendum-ricatto. I clienti del supermercato diventano un auditorio selezionato per un noviziato morale e pratico volto alla costruzione di una nuova classe dirigente, il sorvegliante dell’ipermercato assume le sembianze di un picchiatore fascista che gli dà la caccia. Mentre gli italiani continuano a fallire il loro esame di serietà moderna, accompagnato dalla voce della donna che detta i jingle pubblicitari dell’ipermercato, voce perennemente fraintesa che si trasforma prima in quella del prefetto che ordina la cessazione dell’attività della rivista La rivoluzione Liberale e poi in quella appassionata di Ada Prospero, che dice addio al marito, Gobetti traccia il ritratto amaro di un paese che non è ancora una nazione.
Formidabile organizzatore di cultura, come lo definiva Antonio Gramsci, o meglio, storico del presente, come si definiva lui stesso, ma anche scrittore, ostinato antifascista, editore, critico teatrale, italiano liberale e intransigente, morto a Parigi a soli 25 anni per i postumi dell'aggressione fascista di cui era stato vittima pochi mesi prima a Torino, Gobetti torna in vita ai giorni nostri, per pura indignazione. Lo fa nel momento in cui i lavoratori sono messi in ginocchio, faccia nella polvere, nessun diritto, nessun potere contrattuale, spinti dalla paura di perdere tutto a mettersi gli uni contro gli altri. lo fa nei panni di un poveraccio, un insegnante, che ha perso, oltre alla memoria, il diritto di indignasi, e lo ritrova solo perdendo la consapevolezza di sé. Nello spazio ridicolo di una pièce teatrale, che di certo non gli sarebbe piaciuta e che forse avrebbe omaggiato di una delle sue formidabili stroncature, Gobetti ascolta ancora una volta le voci che provengono dalle fabbriche e traccia un ritratto urgente del fascismo e delle forme del trasformismo politico italiano. Parla agli Italiani, con passione profonda che è diventata abitudine, senza enfasi, senza facili ottimismi, con arido amore, con le parole di chi si aspetta un lavoro solitario, a lunga scadenza. Non rinuncia, però, a brindare alla rivoluzione liberale. Ancora una volta non è alla ricerca di un pubblico, ma di collaboratori.

(Emanuela Cocco)