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Il nostro percorso di ricerca è – appunto – un percorso; e tale vuole rimanere rifuggendo la tentazione di elaborare risposte univoche e immutabilmente soddisfacenti.

Dal 1996, anno della sua fondazione, OlivieriRavelli_Teatro si è confrontata con contesti eterogenei, ha attraversato linguaggi diversi – a volte distanti, contrastanti –, ha abitato luoghi multiformi e non sempre ospitali. Degli artisti incontrati durante il cammino qualcuno si è fermato, qualcun altro è andato via; tutti però hanno condiviso la necessità di mettersi al servizio di un’idea di fondo: recuperare la funzione sociale del teatro.

Dai primi allestimenti orientati a sorprendere lo sguardo intorpidito dello spettatore “medio” attraverso una prassi teatrale incentrata sull'eccesso che prediligeva le atmosfere ipnotiche, ossessive e dissonanti, fino alle produzioni più recenti abbiamo sempre pensato al teatro come a una forma privilegiata di riflessione sullo stato delle cose, un punto di osservazione ed elaborazione dei fatti in cui attori e spettatori siano ugualmente coinvolti: lo specchio di una società che si interroga su se stessa.

Scongiurata l’alea di certe sovrastrutture pregiudiziali che rischiavano di tradurre tout-court il concetto di ricerca teatrale con la formulazione di un'estetica elitaria e vuota – peculiare, del resto, di molta avanguardia – tenendo vivo nel pubblico l’interesse nei confronti dell’azione scenica ci si impone, oggi come allora, la presenza di una coscienza vigile e critica rispetto all'attualità e una continua indagine sui mezzi espressivi.

La ricerca di codici e stili capaci di fare del teatro un’operazione popolare e però (o, meglio, perciò) ben lontana dal populismo continua a fornire risposte coerenti con una certa idea del mondo, pure nell’ovvia trasformazione in armonia con i tempi.

I personaggi sacrificano la complessità e le sfumature in favore della esaltazione di pochi caratteri eclatanti. Talora esasperati fin quasi alla sintesi espressionistica o alla stilizzazione caratteristica tipica della dimensione del fumetto.

Le situazioni e i contesti sono spesso surreali e indulgono al paradosso o richiamano profili devoti al teatro dell’assurdo e a maestri quali Beckett, Ionesco, Pinter…

La lingua è soggetta a un uso personale, persino arbitrario, fino a perdere il consueto ruolo di significante logico per esplorare altre possibili dimensioni della comunicazione, giocando sulle valenze musicali così come intorno alla propria vacuità e a certi corto-circuiti logici.

La tendenza alla deformazione onirica interviene nella narrativa non contrapponendosi alla logica bensì rivestendola di attraenti possibilità, di evocazioni che attingano dall'inconscio e che svelino gli infiniti percorsi di lettura di un testo e, nell’estetica di OlivieriRavelli_Teatro, rimane costante insieme al rilievo conferito alla struttura ritmica.

Ogni scena, infatti, viene costruita secondo una precisa struttura musicale, dalle atmosfere ipnotiche fino ai ritmi ossessivi, a volte decisamente dissonanti. Mentre una particolare cura è riservata alla compilazione della vera e propria colonna sonora.

Una comicità latente, connaturata allo stile grottesco, pervade molti dei nostri allestimenti senza tuttavia scivolare nei canoni del teatro “leggero” o cedere ai dettami di un’estetica… spensierata. Nasce, semplicemente, dal nostro punto di vista sul mondo, dall’osservazione della realtà che ci circonda; quell’osservazione che è la costante delle nostre regie nonché la scaturigine stessa di una specie di urgenza di fare teatro e che fa sì che la carica sociale di degrado, violenza e aggressività domini, in ogni caso e per ovvie ragioni, le nostre letture.